Governo Draghi: Le 7 centrali a carbone che potrebbero essere riattivate in caso di chiusura gas

Governo Draghi: Le 7 centrali a carbone che potrebbero essere riattivate in caso di chiusura gas

Governo Draghi: Le 7 centrali a carbone che potrebbero essere riattivate in caso di chiusura gas

Succede che quando non fai politica energetica e industriale per decenni poi la realtà presenta il conto e devi attrezzarti in fretta e furia.

È il caso dell’Italia con il gas. Dissennatamente, abbiamo fatto in modo di dipendere per il 40 per cento da un’unica fonte, la russa Gazprom. Quando i prezzi sono schizzati alle stelle (poi ci si è messa di mezzo anche la guerra in Ucraina), ci siamo ritrovati coi proverbiali pantaloni calati, che non sarà una immagine fine, ma rende l’idea.

Governo Draghi: Le 7 centrali a carbone che  potrebbero essere riattivate in caso di chiusura gas

Governo Draghi: Le 7 centrali a carbone che potrebbero essere riattivate in caso di chiusura gas

Adesso per rimediare il governo Draghi è stato costretto ad annunciare una possibile drammatica inversione a “U” rispetto alla (non) politica energetica degli ultimi 20 anni, dettata come si sa (anche) dalle ubbìe di certo ambientalismo radical chic. La notizia, insomma, è la (annunciata, per ora) riapertura delle centrali a carbone.

“Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato. Il governo è pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo dell’energia, ove questo fosse necessario”, così ha detto infatti il presidente del consiglio.

In Italia le centrali elettriche a carbone sono sette e stando al “Piano nazionale integrato per l’energia e il clima” (Pniec) del Ministero dello Sviluppo Economico, dovrebbero essere dismesse o convertite entro la fine del 2025.

Ce ne sono due in Sardegna e una in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Puglia. Cinque sono gestite da Enel, una da A2A e una da EP Produzione, succursale italiana del gruppo slovacco EPH.

La centrale termoelettrica Eugenio Montale di Vallegrande (La Spezia) è gestita da Enel. Inaugurata 60 anni fa dall’allora presidente della Repubblica Antonio Segni, per via della potenza installata di 1.835 megawatt (MW), è stata a lungo la centrale convenzionale più grande d’Italia.

Oggi vive una situazione di incertezza. Enel ha chiesto di dismetterla a partire dal primo gennaio 2021, ma il Ministero dello Sviluppo Economico ha detto no. Va peraltro ricordato che Enel, contando sul fatto che il governo non avrebbe detto di no alla dismissione, aveva previsto di sfruttare l’energia elettrica prodotta dagli impianti a gas che avrebbe costruito al posto di quella.

Per alcune delle altre centrali sopravvissute si parla di conversione a gas, per esempio per quelle di Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia) e di Fusina (Venezia). Sempre che gli ambientalisti no-a-tutto non si mettano di mezzo, ovviamente. E sempre che non si decida davvero di rimetterle in funzione a carbone, come da annuncio draghiano.

Tra l’altro non sarebbe la prima volta che delle centrali vengono riaperte. Ai primi di dicembre 2021 due impianti appena chiusi, quello Enel di La Spezia e quello A2A di Monfalcone, erano stati rimessi in attività per pochi giorni allo scopo di far fronte  a un possibile rischio di blackout provocato da un aumento della domanda, dal rialzo del prezzo del gas (anche in quel caso) e dallo stop di quattro centrali nucleari transalpine.

Ma al solito si reagisce, invece di programmare per il lungo periodo.