Cattiva condotta su WhatsApp: è previsto il reato di molestia?

Cattiva condotta su WhatsApp: è previsto il reato di molestia?

Cattiva condotta su WhatsApp: è previsto il reato di molestia?

La condotta illegale non ha limiti e spaziali e, con l’avvento dei Social e le app di messaggistica istantanea, è possibile commettere reati anche molto seri. Tenere una condotta errata sui Social può portare a commettere guai giudiziari seri che potrebbero avere conseguenze penali. Non bisogna mai dimenticare che l’utilizzo quotidiano dei nuovi strumenti di comunicazione digitale deve essere fatto prestando la dovuta attenzione e cautela senza mettere in atto comportamenti illeciti.

Negli ultimi anni per colmare le lacune normative, la Cassazione ha emesso condanne per reati commessi telematicamente. Gli Ermellini della Cassazione si sono pronunciati in merito al reato della molestia. L’articolo 660 del Codice Penale prevede la detenzione in carcere fino a 6 mesi e l’irrogazione di un’ammenda di importo fino a 516 euro nei confronti di coloro che arrecano una molestia anche con il telefono. Da questa premessa ben si comprende che anche chi sta dietro lo schermo del proprio pc o del proprio smartphone deve stare attento a tenere una condotta lecita e non commetta alcun reato con le parole.

Cattiva condotta su WhatsApp: è previsto il reato di molestia?

Cattiva condotta su WhatsApp: è previsto il reato di molestia?

Contatto bloccato: il reato di molestia compiuto sulle app di messagistica istantanea

La Corte di Cassazione si è dimostrata molto severa verso le condotte compiute attraverso smartphone e social network. La disciplina codicistica recita:

“chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”,

viene sanzionato con la pena dell’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda fino a 516 euro. E’ quanto previsto dall’articolo 660 Codice Penale. La pronuncia della Cassazione (cfr. Sentenza n. 37974 del 22 ottobre 2021) ha sancito che anche i social network e le app di messaggistica istantanea devono essere considerate per accertare la responsabilità ex art. 660 Codice Penale.

Il fatto prende le mosse da un ricorso proposto da un uomo contro una Sentenza del G.U.P. di Palermo pronunciata dopo il giudizio abbreviato, che lo aveva condannato per il reato di molestie ex art. 660 c.p. per aver inviato numerosi messaggi via WhatsApp ad un agente di Polizia Municipale, arrecandogli disturbo per biasimevole motivo o petulanza.

Per gli Ermellini della Corte Costituzionale l’elemento rilevante è

“l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario”.

Pertanto, l’invio di messaggi tramite l’app di messaggistica istantanea WhatsApp può essere considerato reato di molestie alla pari di chiamata al telefono.