Litigare col capo: fin dove si può spingere il dipendente? Cosa dice la legge
Criticare si può, offendere invece non è ammesso. A voler essere molto sintetici, si può riassumere così il confine che passa tra il diritto di critica riconosciuto dalla Costituzione e il reato di diffamazione. Il problema è che non sempre è chiaro dove finisce l’uno (il diritto di critica) e comincia l’altro (il reato).
Litigare col capo: fin dove si può spingere il dipendente? Cosa dice la legge
In generale, la critica, per potersi considerare permessa, deve essere moderata e non debordare in attacchi all’altrui decoro morale o professionale. Se per caso proviene da un dipendente, non può determinare pregiudizi economici al datore di lavoro.
Il tema è tanto più importante quanto più, oggi, si tende a usare i social media con una certa inconsapevolezza e faciloneria.
L’articolo uno dello Statuto dei Lavoratori ribadisce il principio per il quale i lavoratori hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione. Resta però l’obbligo di fedeltà del dipendente (articolo 2105 del Codice civile). Ciò vuol dire che l’esercizio del diritto di critica va incontro a dei limiti. Il primo è il doveroso rispetto dell’onore e della reputazione del datore di lavoro.
In particolare, il dipendente deve: da un lato rispettare la verità dei fatti e dall’altro usare un linguaggio pacato e moderato (la cosiddetta «continenza»).
Non osservare questi limiti può far sì che il lavoratore possa essere: licenziato per giusta causa e/o querelato per diffamazione.
Le critiche sui social
Per le critiche sui social valgono esattamente le stesse regole che abbiamo appena descritto; il fatto di trovarci in uno spazio virtuale non vale a rendere tali anche le eventuali offese arrecate al nostro datore di lavoro: il fatto di usare questo strumento invece di mezzi più tradizionali non cambia per nulla la sostanza delle cose, quindi fate parecchia attenzione.