Andare su Marte: una cattiva idea dal punto di vista psicologico?

Andare su Marte: una cattiva idea dal punto di vista psicologico?

Nelle sperimentazioni che si stanno conducendo qui sulla Terra per testare la resistenza fisica e psicologica degli astronauti in vista di un viaggio verso il quarto pianeta (dal Sole) del nostro sistema stellare, si sta scoprendo sempre di più che il viaggio può essere davvero difficile e stressante dal punto di vista mentale.

Andare su Marte: una cattiva idea dal punto di vista psicologico?

In particolare s’è visto che arrivati a metà del “viaggio” gli equipaggi tendono sempre più a far da soli e a comunicare sempre più di rado con la “base Terra”.

S’è anche visto, in particolare, che c’è una differenza di attitudine e di comportamento tra donne e uomini.

Le donne tendono a essere più precise e più ligie agli appuntamenti programmati per le comunicazione con la base, mentre i maschi tendono a tenere i problemi dentro la “navicella” senza comunicarli all’esterno.

L’ultimo di questi esperimenti è stato condotto in Russia: scopo della ricerca era verificare l’andamento e l’evoluzione delle comunicazioni tra l’equipaggio e il controllo missione durante l’ipotetico “viaggio” di più di 380 milioni di chilometri.

 

L’esperimento si chiamava Sirius (Scientific International Research In Unique terrestrial Station) e ha coinvolto due gruppi da 17 persone che tra il 2019 e il 2020 sono state confinate per quattro mesi in una struttura che simulava una navicella in rotta verso Marte.

I risultati dell’esperimento sono stati pubblicati su Frontiers in Psychology. Dalla simulazione, in buona sostanza, è emerso che a mano a mano che la “missione” progredisce c’è un crescente ritardo nelle comunicazioni tra l’equipaggio e la “Terra”.

Si ipotizza che questo fenomeno sia il risultato del “combinato disposto” del tempo che passa e dell’isolamento.

In altri termini, col passare dei giorni l’equipaggio si è dimostrato sempre meno propenso a riportare alla base quel che succedeva nella capsula e quindi, per converso, sempre più propenso a diventare autonomo quando si trattava di prendere decisioni.

Riguardo a quest’ultimo punto, la cosa potrebbe anche esser vista in maniera positiva, dato che a causa dell’enorme distanza Terra-Marte i segnali radio ci mettono tra i 4 e i 24 minuti a fare avanti e indietro tra la Terra e la capsula in viaggio per il pianeta rosso (quindi, considerando l’andata e il ritorno, per dir così, un minimo di 8 e 48 minuti tra la ricezione del messaggio “Pronto” e quella di “Chi parla?”).

È chiaro che se si tratta di una situazione d’emergenza da affrontare qui e ora, non c’è tempo di aspettare tutti quei minuti.

Però è anche abbastanza inquietante che da metà missione in avanti l’equipaggio consideri sempre meno importante sentire il controllo missione.

Si tratta di un comportamento che rischia di compromettere le ipotetiche future spedizioni umane su Marte, dato che si avrebbe un centro controllo a Terra di fatto estromesso dai suoi compiti.

Ci si chiede a questo punto se non sia meglio progettare missioni senza uomini a bordo, che tra l’altro costerebbero anche meno (le macchine non hanno bisogno di sistemi di sopravvivenza).

 

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