Uomo su Marte? Per il momento non se ne parla. Tutti i rischi per la salute di un viaggio così
In fondo non era granché difficile arrivarci: gli esseri umani si sono evoluti sulla Terra e da questo pianeta sono stati plasmati, per così dire, a sua immagine e somiglianza.
La gravità, la pressione atmosferica, il campo magnetico, la radiazione solare e tantissimi altri fattori propri ed esclusivi del Terzo Pianeta dal Sole hanno fatto di noi quello che siamo: ne deriva, staremmo per dire lapalissianamente, che non siamo fatti per lo spazio.
Beh, adesso la cosa è sancita anche da uno studio pubblicato su Nature Medicine: si tratta di una ricerca che forse è destinata a scompaginare i piani di espansione umana negli spazi interstellari e magari anche nel nostro “piccolo” sistema solare.
La scoperta è presto detta: l’organismo umano non è fatto per viaggiare nello spazio. Una lunga permanenza nell’orbita terrestre (quindi praticamente sulla soglia di casa, figuriamoci più lontano…) può provocare una riduzione sensibile del numero di globuli rossi nel sangue, e senza globuli rossi non si va da nessuna parte: sia metaforicamente che letteralmente, in questo caso.
La ricerca ha coinvolto per sei mesi 14 astronauti in missione nella Stazione Spaziale Internazionale. A questi soggetti è stato chiesto di espirare a intervalli regolari dentro alcuni contenitori, che poi sono stati sigillati ermeticamente e riportati indietro sulla Terra per essere sottoposti ad analisi.
Valendosi di questi campioni, i ricercatori hanno verificato i livelli di monossido di carbonio presenti nell’aria espirata dagli astronauti, misurando anche, per via analogica, quanti globuli rossi erano “morti” espirando aria dai polmoni.
Uomo su Marte? Per il momento non se ne parla. Tutti i rischi per la salute di un viaggio così
I globuli rossi portano l’ossigeno dai polmoni ai tessuti e riportano parte dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni perché venga espulsa col respiro. Facendo questo lavoro imprescindibile, “invecchiano” e alla fine muoiono, sostituiti ovviamente da altri globuli rossi che si incarica di produrre il midollo osseo.
Ora, esaminando l’anidride carbonica espulsa degli astronauti, i ricercatori hanno accertato che la quantità di globuli rossi che diventano inattivi quando un essere umano si trova nello spazio è del 52% maggiore rispetto alla quantità fisiologica che si ravvisa sulla Terra.
Insomma, gli astronauti finiscono per soffrire di anemia e questa condizione dura anche molto dopo il loro ritorno a casa, anche anni.
Emolisi eccessiva
L’eccessiva “emolisi”, così si chiama questo fenomeno, può determinare affaticamento, fiato corto e tachicardia, tutte condizioni che come si capisce mal si conciliano con gli impegni del tutto fuori dall’ordinario cui è chiamato un astronauta.
Qui sul nostro pianeta ogni giorno perdiamo in media tra l’uno e il due per cento dei globuli rossi presenti nel sangue, che coem abbiamo detto poi vengono sveltamente sostituiti. Il problema è che negli astronauti il processo di sostituzione non riesce a star dietro alle perdite, il che, come si diceva, provoca uno stato di anemia.
Se è certo che stare nello spazio provoca anemia, non è però ben compreso, ancora, perché questo succeda: occorreranno altre ricerche in materia.
E l’anemia è solo uno dei problemi: nello spazio infatti si possono avare anche una diminuzione di massa muscolare e massa ossea con conseguente di osteoporosi. Inoltre i liquidi si concentrano nella parte alta del corpo, gonfiando collo e testa, la capacità cognitiva diminuisce e i movimenti oculari diventano più faticosi.
E non abbiamo neanche accennato alle radiazioni…