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Perché non ci ricordiamo di essere nati: vi spieghiamo l’amnesia infantile.

Non ci ricordiamo di essere nati perché esiste un fenomeno chiamato “amnesia infantile”.

Il primo a individuarlo e a coniarne il termine fu Freud, all’inizio del XX secolo. Ma gli fu chiaro fin da subito che non si trattava di una vera per propria amnesia, piuttosto di un meccanismo inconscio di rimozione che riguarda avvenimenti traumatici o ricordi specifici nello sviluppo psichico.

Nel corso degli anni, con l’approfondimento degli studi neuropsichiatrici, la scienza ha cercato nuove motivazioni per questa “perdita di memoria”.

Normalmente, infatti, i ricordi della primissima infanzia appaiono sbiaditi già a 6/7 anni, quando per ricostruire i fatti necessitiamo dell’ausilio degli adulti.

Cerchiamo di capire meglio la questione analizzandola insieme, passo a passo. Scopriremo, magari, come fare per evitare ai nostri piccoli di perdere tranche del loro passato nei meandri oscuri del loro cervello.

Perché non ci ricordiamo di essere nati: vi spieghiamo l’amnesia infantile.

In assenza di problematiche di qualsiasi tipo, intorno ai 2/3 anni un bambino apprende e padroneggia il linguaggio, fino alla costruzione di brevi frasi. È attraverso le parole, allora, che gli è possibile catalogare i ricordi, prima vissuti semplicemente attraverso l’evocazione di immagini.

Dalle analisi psicologiche di Gabrielle Simcock e Harlene Hayne, si evince che i bambini d’età compresa tra i 2 e i 3 anni riescono meglio a ricostruire eventi tramite le fotografie, secondo un approccio non verbale. Ma per richiamare un evento passato, magari relativo all’anno prima, fanno ricorso a parole conosciute al momento dei fatti. Ciò dimostra che la ricostruzione diventa più precisa proprio attraverso l’uso del linguaggio. Da esso dipende una maggior facilità di memorizzazione.

Approfondendo l’argomento, si è compreso e dimostrato che le aree della corteccia celebrale relative alla memoria autobiografica sono sottoposte a cambiamenti continui e repentini. Questo rende disagevole una corretta riorganizzazione delle informazioni e il loro sedimentarsi nel subconscio.

Man mano che cresciamo, in breve, i ricordi non si perdono, ma vengono fissati in forma non riconoscibile immediatamente, fungendo quasi da guida per il nostro comportamento.

E ancora, secondo le neuroscienze, l’amnesia infantile è causata dall’ippocampo, una struttura cerebrale non ancora del tutto sviluppata nei primissimi anni di vita.

Ma non tutto è perduto, se Alberini e Travaglia spiegano che, fin dalla nascita, l’ippocampo è comunque in grado di elaborare informazioni sostanziali capaci di influenzare lo sviluppo delle altre aree del cervello e il nostro apprendimento. In breve, anche ciò che non ricordiamo veramente ed in maniera lucida, ci guida nel comportamento durante gli anni.

Cosa possiamo fare per aiutare i nostri figli a non dimenticare?

Secondo la teoria sociologica, l’ambiente culturale in cui crescono gioca un ruolo fondamentale. Per meglio spiegare il ruolo che assume nella formazione, MacDonald, Uesiliana ed Hayne focalizzano la loro attenzione sulle tradizioni Maori. Le madri Maori, infatti, raccontano spesso ai loro bimbi fatti salienti non solo della loro vita personale, ma anche della loro civiltà o comunità, stimolando continuamente la corteccia celebrare. Si classificano così al primo posto mondiale per quanto riguarda i test circa la memoria infantile.

Ecco allora che diventa importante parlare ai nostri bimbi, sempre! Rievochiamo episodi della loro vita e della vita di chi li circonda, avranno un cervello potente un domani, in grado di dominare profondamente la loro storia personale e immagini vivide a cui attingere per stimolare la creatività.

Pietro Giordano

Appassionato di tutto ciò che è tech. Scienza e curiosità sono il mio pane quotidiano. Divoro libri a colazione e non disdegno di seguire le belle arti.

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