Scienza

Fame d’aria. A che punto è la ricerca per questa rara malattia

Fame d’aria. A che punto è la ricerca per questa rara malattia

È stata svolta una ricerca sulla fibrosi polmonare idiopatica che porterà una grande svolta con i trial della terza fase che inizieranno in autunno.

Si tratta di una malattia molto rara, però se si vanno a visionare i risultati delle autopsie la fibrosi polmonare risulta essere molto estesa, solitamente si rileva senza nessuna causa in particolare.

Fame d’aria. A che punto è la ricerca per questa rara malattia

Andando poi a svilupparsi in maniera progressiva come una neoplasia però se viene guardata al microscopio o se viene visionata da un radiologo si arriva alla conclusione che si tratta di malattia respiratoria molto diversa rispetto ad altre gravi patologie conosciute.

Per poter andare a correggere e a rendere migliore la qualità della vita delle persone che sono in cura anche in pneumologia ci vorrebbero dei medicinali che siano più efficienti come succede in altre patologie polmonari critiche.

In questo studio del New England Journal of Medicine sono stati pubblicati i risultati di una ricerca di seconda fase che è stata effettuata su una terapia putativa, e il Professor Luca Richeldi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che dirige a Roma, e presta anche servizio al Policlinico Gemelli che è il più grande centro di riferimento per le fibrosi polmonari, ci dice che: «Abbiamo coordinato a livello mondiale i trial di fase II, e saremo i coordinatori mondiali anche per la fase III, che partirà in ottobre».

Si tratterà di un farmaco nuovo che presenta questa sigla (BI 1015550), ed è un farmaco inibitore delle fosfodiesterasi 4 b. Ma sapete cos’è la fibrosi polmonare? Vediamolo.

La fibrosi polmonare idiopatica viene definita una forma di fibrosi polmonare senza un motivo ben identificato, insieme a questa malattia ce ne sono altre chiamate eterogenee che vengono causate dall’inalazione delle polveri e solitamente vengono collegate alle malattie autoimmuni o che provengono dalla genetica.

Da una stima fatta i casi in Italia possono essere tra i 30 mila e i 50 mila e solitamente l’età che viene colpita è dai 65 anni in poi e soprattutto gli individui di sesso maschile e i fumatori, ma anche i non fumatori.

Cosa si sta sperimentando

Il professor Richeldi ci ricorda che: «Negli ultimi anni sono stati introdotti in terapia due farmaci, il pirfenidone e il nintedanib, che rallentano la progressione di malattia del 50% circa; quanto prima vengono iniziati, maggiore la loro efficacia. Sono tuttavia gravati da effetti collaterali, per cui spesso è necessario ridurre la posologia o interrompere il trattamento. Poco prima che entrassero in commercio uno studio pubblicato nel 2012 aveva dimostrato che i cortisonici, che utilizzavamo in cronico in questi pazienti, possono addirittura accelerare la progressione di malattia, aumentando i ricoveri», e continua dicendo che: «Pirfenidone e nintedanib non nascono come antifibrotici, solo in un secondo momento, si è scoperto che avevano un’azione di rallentamento della malattia, ma sono nati per altre patologie, il nintedanib, un triplo inibitore delle tirosin-chinasi, è usato in oncologia per il tumore del polmone; il pirfenidone, che nasce come antibiotico veterinario, ha un effetto anti-fibrotico per meccanismi d’azione non chiariti.

Hanno rappresentato un passo avanti epocale per il trattamento dell’IPF. Ma solo un passo avanti, non la soluzione. Rallentano, ma non bloccano e non guariscono la malattia e inoltre sono gravati di un importante profilo di effetti collaterali che, in almeno un terzo dei pazienti, richiede la sospensione del farmaco».

Quindi il nuovo farmaco che stanno sperimentando promette di utilizzare una nuova via molecolare, che potrebbe avere sia un effetto sinergico e sia additivo insieme agli altri due farmaci che vengono già usati nella clinica, e viene somministrato via orale per due volte al dì.

Insieme ad un colloquio con Maria Rita Montebelli il professor Richeldi dice: «È il primo studio sulla IPF che ha utilizzato un approccio cosiddetto bayesianoun approccio che consente di ridurre il numero dei pazienti nel gruppo placebo, utilizzando dei controlli presi da studi precedentemente eseguiti, con il vantaggio di dare risultati solidi in un tempo contenuto, e questo è importante perché può accorciare i tempi di sviluppo dei nuovi farmaci, soprattutto nelle malattie rare», i risultati di questa ricerca saranno confermati nella terza fase, andando a dimostrare che questo farmaco è più sicuro.

 

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