Hai mai sentito il termine “scemo di guerra”? Ecco da dove proviene

Hai mai sentito il termine “scemo di guerra”? Ecco da dove proviene

In inglese dicono “shell-shocked” e la definizione, come spesso accade in quella lingua, è più fattuale e meno emotiva di quella italiana, anche se la nostra, “scemo di guerra”, rende un pochino di più l’idea della cosa alla quale ci stiamo riferendo.

E la cosa alla quale ci stiamo riferendo è la triste eredità di qualunque guerra, ma soprattutto della Prima Guerra Mondiale: gli uomini che tornano a casa con la testa che non funziona più come dovrebbe; perché “al fronte” ne hanno viste così tante che a un certo punto la loro mente ha deciso di fuggire, come estrema difesa da quell’orrore insopportabile.

Hai mai sentito il termine “scemo di guerra”? Ecco da dove proviene

Durante e dopo la Grande Guerra (1914-1918) migliaia di soldati furono ricoverati per disturbi mentali. Erano ridotti a larve umane: alienati, muti, esseri che camminavano come automi, come marionette inespressive. La gente li chiamava sbrigativamente “scemi di guerra”.

Le cartelle cliniche descrivevano “tremori irrefrenabili”, “ipersensibilità al rumore”, “uomini inespressivi, che volgono intorno a sé lo sguardo come uccelli chiusi in gabbia” e che “camminano con le mani penzoloni e piangono in silenzio”.

Shell-shock

Tutti sintomi che causarono subito l’interesse degli psichiatri. Su Lancet, tra le riviste mediche più autorevoli ancora oggi, nel 1915 lo psicologo Charles Myers usò per la prima volta l’espressione shell shock, ovvero “shock da bombardamento”. Oggi lo chiameremmo disturbo da stress post-traumatico.

Myers ipotizzava che i disturbi mentali fossero dovuti al fragore dei bombardamenti oppure all’avvelenamento da monossido di carbonio. Presto però si comprese che alla base di questi disturbi c’era dell’altro, anche perché gli stessi sintomi si manifestavano in persone che non si erano mai trovate sotto o vicino ai bombardamenti.

Con un approccio oggi diremmo maschilista, il neurologo francese Joseph Babinski nel 1917 attribuì i sintomi a isteria. Chiamare così questa condizione era già indicativo, dato che isteria deriva da “isteros”, o utero: insomma, gli uomini che soffrivano da shock da bombardamento erano visti un po’ come donnicciole isteriche che non erano stati capaci di mantenere il sangue freddo.

Nondimeno il trattamento che Babinski propose, l’ipnosi, che si usava appunto per l’isteria, in diversi casi funzionò, se non altro nel diminuire i sintomi.

Ma ovviamente si parlò anche di “femminilizzazione” o di “omosessualità latente” e si attuarono “cure” come minimo discutibili, come aggressioni verbali e trattamenti con scosse elettriche.

Lombroso

Questi atteggiamenti si manifestarono anche in Italia, dove persistevano atteggiamenti ispirati alle idee di Cesare Lombroso, idee per le quali, tra l’altro, il malato era un essere inferiore, un soggetto debole e primitivo.

C’era anche il discorso che in un Paese in cui la leva era obbligatoria non era conveniente far dipendere i disturbi psichici dalla guerra. Era meglio sostenere che la guerra facesse emergere tendenze latenti in persone devianti.

 

 

 

 

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